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Il collateralismo

Di Eugenio Pari

La comparsa sulla del movimento operaio, pone in termini nuovi il tema dell’organizzazione politica. I partiti socialisti che si affacciarono  sul palco della storia alla fine dell’Ottocento sono una formazione addirittura successiva a forme che il proletariato si era dato in precedenza come le cooperative e il sindacato.

Il movimento cooperativo, non è però esclusività del movimento operaio, rappresenta il tentativo di una risposta a problemi concreti che attraversava il proletariato ed assume caratteristiche diverse in Europa, per esempio: in Inghilterra, dove le prime cooperative risalgono agli anni ’30 dell’Ottocento, si svilupperà intorno alla cooperazione di consumo; in Germania sarà principalmente cooperazione in tema di credito e quindi bancaria e di ispirazione soprattutto cristiana. In Italia, e nella Valle Padana, culla del movimento cooperativo italiano,  saranno innanzitutto le cooperative di produzione lavoro e sebbene il movimento socialista vedrà nella cooperazione uno dei principali strumenti attraverso cui applicare la propria linea politica a livello municipale, la cooperazione di impronta cattolica sarà molto importante in primo luogo quella bancaria attraverso il credito popolare. Vi era nel socialismo riformista un primato delle organizzazioni parallele rispetto al partito, questo primato verrà invertito nel Secondo Dopoguerra dove al centro ci sarà essenzialmente il PCI.

Anderlini definisce il collateralismo come

“modello di relazioni coessenziale al primato dei partiti e perdurato, seppure perdendo di forza, per tutto il corso della Prima Repubblica” (2006).

La strutturazione dei partiti prevedeva “cinghie di trasmissione”, le organizzazioni che componevano questi “ingranaggi” non erano affatto una longa manus dei comunisti nella società, inoltre non erano esclusivo patrimonio del PCI che, comunque, con il concorso dei socialisti alimentava questa struttura rendendola capillare  e di massa.

La DC, per esempio,

“non era da meno: non solo le organizzazioni innervate sulle parrocchie, ma la CISL, le cooperative bianche, la Coldiretti e altro, ivi comprese le banche rurali e le casse popolari sparse per tutto il Paese. (…) Grandi o piccoli che fossero tutti i partiti, ivi compresi quelli della tradizione liberal-borghese, erano strutturati secondo le forme classiche di integrazione democratico sociale di massa”[1].

Trattare del “modello emiliano”, in particolare della fase del suo apogeo, senza trattare il tema del collateralismo sarebbe discorso lasciato a metà, un discorso che parla si del ruolo egemone e di “regia” del PCI, ma che non riesce a spiegare fino in fondo il modo in cui, effettivamente, il Partito comunista riuscisse a mantenere e sviluppare questo ruolo centrale nel sistema economico-sociale dell’intera regione.

Nella Conferenza organizzativa del 1959 il PCI si affermava un concetto fondamentale nell’ottica di contrasto ai monopoli e al ruolo che il “sistema PCI” poteva svolgere:

“in Emilia-Romagna può svilupparsi una intesa permanente fra organizzazioni sindacali dei lavoratori ed associazioni cooperative, artigiane e di ampi settori dell’industria non monopolistica, volta appunto ad attuare una nuova’ redistribuzione del reddito ed un impulso agli investimenti produttivi, con la limitazione e la liquidazione dei superprofitti di monopolio”[2].

Il movimento cooperativo a partire dagli anni ’70 allenterà questo legame, raggiungendo contestualmente risultati economici e produttivi di maggior rilievo rispetto alla fase in cui, fondamentalmente, era una propaggine del Partito.

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Guido Fanti (a sinistra) con Giuseppe Dozza

Anche il Sindacato allargherà la “cinghia di trasmissione”, nel caso del movimento cooperativo, per quanto riguarda il sistema Legacoop, così come nel caso della CGIL il rapporto tra PCI prima e con i partiti da esso discendenti come il PDS, i Ds e in parte il PD il legame non si interromperà mai del tutto, subirà di certo modifiche ma non sarà mai interrotto soprattutto perché sia dirigenti del mondo cooperativo collegato a Legacoop, sia i dirigenti della CGIL in buona parte avevano e hanno in tasca la tessera di quei partiti e, in misura minoritaria, quella del fu PSI.

Questo fatto, a mio avviso, non fu negativo e non lo sarebbe nemmeno in linea di principio, in quanto è vero che i dirigenti del Sindacato e della Cooperazione vissero una sorta di dipendenza nell’individuazione dei rispettivi gruppi dirigenti rispetto al PCI, che, comunque, si assumeva anche il compito della formazione generale dei quadri, ma queste organizzazioni troveranno nel PCI un importantissimo interlocutore in grado di assumersi il compito di portare a sintesi politica le questioni del sindacato e del mondo della cooperazione. Questo rapporto osmotico non era unidirezionale, dal PCI alle organizzazioni collaterali, bensì anche da queste in direzione del Partito. Le cooperative e la CGIL erano le “antenne” del Partito nella società, erano una vera e propria cartina di tornasole rispetto a ciò che si muoveva nella società e alla capacità di tradurla in una linea politica da parte del Partito.

Guido Fanti parla del contributo attraverso

“progetti e realizzazioni che le organizzazioni sindacali, cooperative, artigiane, commerciali e associative di Bologna e della regione, con il supporto del PCI e del PSI, portarono come contributo essenziale alla costruzione, in pochissimi anni, del ‘modello emiliano’. Una dote ricca di progettazione e investimenti produttivi, di nascita ed espansione di migliaia di ditte artigiane e commerciali e di società Cooperative, con la costruzione di circa 100.000 nuovi posti di lavoro, che si univano a quelli creati dalle attività e dalle opere d’interesse pubblico di comuni e province. L’Emilia-Romagna divenne, così, terra di lavoro per migliaia di disoccupati del Veneto, delle Marche e delle pianure padane lombarde e piemontesi.”[3]

Il collateralismo ha avuto quindi una funzione importante nella strategia dei comunisti italiani, come ha scritto Anderlini con particolare riferimento alla cooperazione:

“se c’è del marcio in Danimarca, esso va ricercato non nel collateralismo, ma in ciò che si è sedimentato dopo la sua eclissi naturale: capi di antica nomina politica che una volta emancipati dal controllo possono essere tentati a trasformare le imprese in feudi, seguendo la via postsovietica al capitalismo, ed entristi ormai liberi di arrampicarsi altrove facendo delle coop la pista di lancio”[4].

Citando Mario Tronti, possiamo affermare che l’organizzazione collaterale fu il tentativo di una classe di farsi Stato e strumento di acquisizione della coscienza di classe:

“il passaggio del proletariato a classe operaia, da classe in sé a classe per sé, di classe a coscienza di classe per mezzo dell’organizzazione. Il capitalismo industriale per superare questa sua interna contraddizione ha dovuto superare sé stesso: andando incontro incontro alle sue nuove contraddizioni che oggi lo affliggono. È su queste ultime che oggi andrebbe centrato il conflitto. Ma potrebbe farlo solo chi si facesse consapevole erede di quella storia: forme di lotta, esperienze collettive, solidarity for ever, tutto il potere ai soviet, e prima mutualismo, associazionismo, cooperazione, e poi sindacato e poi partito fino al tentativo di farsi Stato. E patrimonio ideale, sistema di pensieri, rigorosa teoria, concezione del mondo e della vita, il tutto scoperto, praticato, elaborato con passione e realismo, due dimensioni da riaccostare dentro ognuno di noi. Un cammino luminoso che tutte le ombre in seguito accumulatesi non riescono ad oscurare. Io non capisco, (…), perché – se nel momento drammatico del crollo, almeno nei lunghi anni a seguire – non l’abbiamo messa su questo piano”[5].

Perché, in sostanza, queste organizzazioni che erano comunque originate da ideali di

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Da sinistra: Giuseppe Dozza, Renato Zangheri e Guido Fanti

 

giustizia sociale e trasformazione del mondo, a un certo punto hanno deliberatamente deciso di venire a meno a questo impegno? Come mai il mondo della cooperazione, e non parlo di quelle false dietro le quali si nascondono spesso condizioni di lavoro infami, hanno prodotto deviazioni mercantili come nel caso della scalata BNL operata nel 2005 da Consorte (il caso di Buzzi e della cooperativa 29 settembre, a mio avviso non ha nulla a che vedere con questo ragionamento e riguarda solo vicende giudiziarie)? È stata solo la reazione di rispondere alla stringente necessità di unire i principi sociali alle esigenze di bilancio, ovvero la questione delle questioni per le cooperative di essere capaci di unire solidarietà e capacità gestionali, di saper trasmettere un valore sociale e per farlo chiudere senza perdite i bilanci delle cooperative? Oppure è stato un venir meno alla propria funzione storica passando dall’altra parte, dalla parte di quelli da cui ci dovevamo difendere ovvero il capitale? Toschi ne parla in questo modo, dando un segnale del fatto che il mondo della cooperazione, nella sua maggioranza, ha ancora sani e robusti anticorpi, e io ne sono convinto:

“Non possiamo, e anche se potessimo non dobbiamo, liberarci della nostra storia, delle nostre storie così diverse eppure così uguali. La nostra è stata una storia di lotta, di divisioni, di discussioni non solo verso ‘gli altri’ ma al nostro interno e nella lotta e nelle avversità siamo cresciuti fino a divenire quello che siamo oggi. Dobbiamo quindi comprendere per progredire, per costruire su fondamenta solide e riconoscibili – le nostre fondamenta – perché solo se ci ri/conosciamo, se ci ri/troviamo, se ci ri/comprendiamo possiamo conoscere, attraverso noi stessi, anche gli altri, discutere con loro, apprezzare le loro idee e i loro progetti e costruire possibili sintesi che ci possano portare a convergere nel ‘punto marxiano’ (…) [del]: miglioramento delle condizioni di vita”[6].

La classe dirigente dell’organizzazione cooperativa ha tratti anche psicologici che ne spiegano la trasformazione, secondo Anderlini:

“nella querelle che ha accompagnato la scalata BNL, ad esempio, mi ha colpito l’insistenza con cui Fassino ha richiamato la potenza economica delle coop e il loro ‘non essere più quelle di una volta’”

stessi concetti espressi da esponenti di Legacoop, affermazioni che, proseguiva Anderlini, sono realistiche ma

ideologicamente ambigue[a] e, soprattutto, psicologicamente rivelatrici di un’ansia di neo-accreditamento, tipica del complesso d’inferiorità del parvenu, il quale tende a rimuovere la sua origine, anziché farsene un vanto. Di nuovo il complesso, tipicamente trans-comunista, dei ‘figli di un Dio minore’. La faccia perversa e marranesca assunta, dopo la decadenza, del senso aristocratico della diversità comunista. In questo, molti cooperatori, sono emblematici come più non si potrebbe del trans-comunismo”[7].

Nella cooperazione lo sforzo di disinfrancarsi non solo dal rapporto con il Partito, che nell’ottica del movimento operaio, insieme al Sindacato compone lo stesso, può significare anche un allontanamento dalla propria cultura di partenza, nello sforzo di produrre un modernizzazione affidata ad un management attinto dall’esterno dell’impresa cooperativa come in qualsiasi alta SpA. Ciò, è vero, permette maggiori competenze dal punto di vista gestionale e risposte più contingenti alle necessità economico-finanziarie, ma forse queste figure dirigenziali non tengono nella dovuta considerazione la funzione sociale, di trasformazione sociale, propria del movimento cooperativo magari ignorando, per non dire non condividendo, proprio la cultura di partenza che in fin dei conti si innerva nella storia del movimento operaio e degli strumenti (fra cui proprio la cooperazione) che esso ha utilizzato nella lotta per la propria emancipazione.

Parlando del ruolo della cooperazione Sergio Costalli ha sottolineato la necessità di tornare

“a comprendere meglio (…) lo stretto rapporto che esiste tra il nostro operare quotidiano e i bisogni, i desideri e la partecipazione democratica, nel senso più vasto del termine, del corpo sociale e dei cittadini”[8].

[1] F. Anderlini, La città trans-comunista. Appunti di viaggio tra Bologna e altrove. Edizioni Pendragon, Bologna, 2006, pagg. 112-113

[2] G. Fanti e G.C. Ferri, Cronache dall’Emilia rossa. L’impossibile riformismo del PCI, Pendragon, Bologna, 2005, pag. 81

[3] G. Fanti e G.C. Ferri, Cronache dall’Emilia rossa. L’impossibile riformismo del PCI, Pendragon, Bologna, 2005, pag. 96

[4] F. Anderlini, La città trans-comunista. Appunti di viaggio tra Bologna e altrove. Edizioni Pendragon, Bologna, 2006, pag. 169

[5] M. Tronti con A. Bianchi, Il popolo perduto. Per una critica della sinistra., Edizione Nutrimenti, Roma, 2019, pagg. 24-25

[6] L. Toschi, in S. Costalli, La città co-operativa, Bruno Mondadori, 2013, pag. 6

[7] F. Anderlini, La città trans-comunista. Appunti di viaggio tra Bologna e altrove. Edizioni Pendragon, Bologna, 2006, pag. 113

[8] S. Costalli, La città co-operativa, Bruno Mondadori, 2013, pag. 29

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Liaison dangereuse

Senza essere capziosi o polemici, proviamo a ricapitolare un po’ di cose:

1. Il Pd nel novembre 2011 appoggiò Monti e tutti i suoi provvedimenti (prego andare a controllare) per “salvare l’Italia”. Esito del governo Monti appoggiato da Pd, Pdl, Udc: aumento del debito pubblico, del famigerato spread Bund-Btp, crollo del Pil, aumento disoccupazione, aumento della pressione fiscale sui redditi fissi, diminuzione del potere d’acquisto dei lavoratori e pensionati;
2. La campagna elettorale del Pd fu impostata sul voto per “mandare a casa Berlusconi”;
3. Rielezione di Napolitano, perchè “loro mica sono matti ad appoggiare il candidato di Grillo”, ovvero Rodotà, uomo profondamente connaturato con la storia della sinistra;
4. Nomina di Letta – il nipote di Gianni braccio destro di Berlusconi – a presidente del consiglio da parte di Napolitano, appoggiato dalla maggioranza Pd, Pdl, Monti;
5. Oggi il Pd ha votato favorevolmente alla richiesta di fermare i lavori parlamentari venuta dal Pdl, di fatto per protesta contro la volontà della magistratura di fare il suo dovere.
Può apparire come un accanimento nei confronti del Pd, forse.
Il punto, però, è che i fatti appena riportati non mi fanno comprendere la differenza tra i berlusconiani e il Pd, anzi confermano che non c’è alcuna differenza fra i due partiti, da tanto lo si sa, da tanto lo si dice.

PD - PDL

PD – PDL

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In balia

Ancora una volta il Pd in balia degli umori di Berlusconi. Ormai la realtà supera ogni immaginazione e a questo punto veramente non capisco come mai non si formalizzi il partito unico Pd-Pdl (non è una semplificazione né una provocazione), d’altra parte governano insieme dal novembre 2011 avendo approvato i seguenti provvedimenti: controriforma delle pensioni Fornero; l’abrogazione dell’art. 18 Statuto dei lavoratori; spendig review; fiscal compacti; conferma delle spese militari per l’acquisto dei famigerati F35.
Berlusconi

Berlusconi

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Coscienza tranquilla

Il voto utile di Veltroni nel 2008 contribuì a consegnare a Berlusconi una vittoria schiacciante e il comune di Roma ad Alemanno. Questa volta il voto utile di Bersani che effetti tende aRIVOLUZIONE CIVILE produrre?

Come se non bastasse l’anno di governo insieme a Berlusconi, Monti e Casini, la maggior parte del gruppo dirigente del Pd, con la capitolazione di Vendola (ma quando c’era mai stata battaglia?), ha da tempo definito i contorni della prossima maggioranza: alleati di Monti e della sua coalizione.

Rivoluzione Civile con Ingroia non ci sta e questa non sudditanza alle regole non scritte della politica, regole ferree che impongono la subordinazione alle logiche della Borsa e della Finanza, fa paura perché lor signori sanno benissimo che dire “no” a questo patto scellerato significa costruire concretamente un’alternativa non tanto al sistema di alleanze, quanto al modello economico e sociale che essi ritengono imprescindibile e immodificabile.

La proposta politica di Rivoluzione Civile è pericolosa perché non ammantata da alcun velo di anti politica, perché, anzi, l’antipolitica viene considerata per ciò che effettivamente è: il modo per far si che nulla cambi.

Rivoluzione Civile viene allora accusata di estremismo, ma il punto vero è che il centrosinistra, ovvero quella parte che dovrebbe essere alternativa a Berlusconi, ma che così vuole apparire solo al momento delle campagne elettorali, ha bruciato troppi vascelli alle proprie spalle, ha praticato omologazione e trasformismo con troppo piacere e non solo non ha avversato le politiche neo liberiste e di centro destra, ma, di più, in esse si è immedesimata.

La scelta tra Pd e Pdl, da tanto ce lo diciamo, è di fatto una scelta tra candidati e programmi indistinguibili dal punto di vista delle politiche economiche, di quelle internazionali, sul prelievo fiscale, sui servizi sociali, sul tema della pace e dei diritti civili. Rivoluzione Civile e Ingroia, sono, invece, diversi, e questa diversità va combattuta in modo concentrico da tutti gli schieramenti, anche da chi, come Grillo, fa dell’antipolitica la cifra del proprio messaggio politico.

La battaglia a tutto campo va condotta contro la corruzione materiale e morale di cui si nutre “il sovversivismo delle classi dirigenti”, una battaglia generazionale che deve essere condotta da una sinistra in grado di scrollarsi di dosso il senso di inadeguatezza, il complesso che deriva dall’essere alleata al Pd in molti territori, una battaglia a viso aperto correndo il rischio di essere ancora definiti estremisti o, nel miglior dei casi utopisti, sapendo che quando si indica la luna solo lo stolto guarda il dito.

Trovo illuminante per questa nostra esperienza politica il brano di un articolo di un grande italiano che meriterebbe molta più attenzione di quella che generalmente gli viene attribuita, Luigi Pintor: “in fin dei conti non ci affidiamo ad altro che ad un lavoro collettivo; a una passione militante; a ciò che molti chiamano utopia ed estremismo, e noi fiducia nelle masse e tranquilla coscienza”.

Siamo sereni, la coerenza e l’impegno per elevare le condizioni materiali dei propri simili sono azioni meritorie e noi di Rivoluzione Civile, sacrificando tempo ed energie per condurre questa campagna elettorale controcorrente perché censurata e osteggiata dai poteri forti, possiamo affermare con ragionevole certezza che queste azioni meritorie le stiamo realizzando, sapendo, inoltre, che il nostro agire il cambiamento è la massima ricompensa che chiediamo e che vogliamo ottenere. Chi può dire altrettanto?

Eugenio Pari

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Voto utile?

Alcune considerazioni rivolte alle compagne e ai compagni che voteranno SEL e centrosinistra

Di Eugenio Pari

Quando si parla di “voto utile” come fanno Bersani e come gli fa eco Vendola, si dovrebbe dire voto utile per chi? Per fare cosa?

ennio

Eugenio Pari

Voto utile per battere le destre? Bene, allora Bersani dovrebbe ricordare come mai ha sostenuto per un anno insieme a Berlusconi il governo presieduto da Mario Monti appoggiandone tutti, ma proprio tutti, i provvedimenti. Citarne alcuni è importante: controriforma delle pensioni Fornero, grazie alla quale l’età pensionabile è stata aumentata al minimo di settanta anni per tutti; disarticolazione dei diritti dei lavoratori attraverso l’abrogazione dell’art. 18; spendig review, ovvero tagli lineari alla spesa sociale e sanitaria a tutto svantaggio dei cittadini più deboli; niente sul fronte del far pagare le tasse a chi evade enormi ricchezze; fiscal compact, manovra imposta dalla BCE e dai poteri finanziari che taglia 47 miliardi all’anno per  i prossimi venti anni la spesa, pesando su lavoratori e fasce deboli; conferma delle spese militari per l’acquisto dei famigerati F35 che costerà all’Italia la cifra di 18 miliardi di euro. E SEL di Vendola ha scelto di allearsi con quel partito e di approvare delle regole capestro che le imporranno di accettare le scelte già prese dal Pd e che costituiscono la base del loro futuro sodalizio di governo.

Bersani ha sostenuto che con Monti si alleerà “anche se al Senato il Pd dovesse ottenere il 51%”[1]. Quindi voto utile per cosa? E a chi?

Lo spauracchio di Berlusconi di nuovo al governo? È un’ipotesi altamente improbabile, e comunque evocare questo scenario da parte di chi come Bersani e D’Alema hanno governato 7 anni negli ultimi 18 fa ancora più arrabbiare: chi doveva approvare leggi sul conflitto d’interessi non l’ha fatto perché come sostenne Violante (da capogruppo dei Ds – l’Ulivo, precursore del Pd) il 28 febbraio 2002 “Ieri l’onorevole Adornato ha ringraziato il presidente del nostro partito [Massimo D’Alema] per aver detto che non c’è un regime. Io sono d’accordo con Massimo D’Alema: non c’è un regime sulla base dei nostri criteri. Però, cari amici e colleghi, se dovessi applicare i vostri criteri, quelli che avete applicato voi nella scorsa legislatura contro di noi, che non avevamo fatto una legge sul conflitto di interessi, non avevamo tolto le televisioni all’onorevole Berlusconi… Onorevole Anedda, la invito a consultare l’onorevole Berlusconi perché lui sa per certo che gli è stata data la garanzia piena – non adesso, nel 1994, quando ci fu il cambio di Governo – che non sarebbero state toccate le televisioni. Lo sa lui e lo sa l’onorevole Letta. […] A parte questo, la questione è un’altra. Voi ci avete accusato di regime nonostante non avessimo fatto il conflitto di interessi, avessimo dichiarato eleggibile Berlusconi nonostante le concessioni… […] Durante i governi di centrosinistra il fatturato di Mediaset è aumentato di 25 volte”[2].

Rivoluzione Civile viene attaccata perché, come dice un Vendola un po’ titubante, “è un guazzabuglio”[3] di “vecchi” politici che si nascondono dietro la prestigiosa figura di Ingroia, come se, stando solo al suo caso, lui non fosse stato eletto alla Camera a partire dal 1992 per poi lasciarla nel 2005 e da allora ricoprire l’incarico di Presidente della Regione Puglia.

Io non ho l’autorevolezza per inviare alcun appello a nessuno, una cosa però mi sento di dirla alle compagne e ai compagni che, lo dico con assoluto rispetto, decideranno di votare SEL e quindi il centrosinistra: poi non facciano finta che non si sapeva come stavano le cose. Non si sorprendano se poi le scelte del governo prenderanno altre strade rispetto a quelle che tutti i progressisti e le persone che si dichiarano di sinistra si aspettano ovvero un po’, dico un po’, di giustizia sociale in più.

Rivoluzione Civile non si presenta certo per governare, io lo considero giusto perché non penso siano, nelle condizioni date e imposte, le congiunture per avviare un processo di risanamento economico, sociale e culturale del Paese in senso popolare e democratico. Occorre prenderne atto e provare a ricostruire un movimento politico alternativo e progressista in grado di unire le lotte e le rivendicazioni dei cittadini, per provare a dare forza alle istanze di giustizia che sempre più sono represse dalle compatibilità economiche e dalle tattiche politiche.

Occorre una Rivoluzione. Una Rivoluzione che non si esaurisca nel momento del voto, ma che attraverso una rappresentanza anche minima nelle istituzioni democratiche porti alla ribalta queste lotte che invece sono state dimenticate e derubricate dalla vicenda del Paese. Per me, rivoluzione, significa non il raggiungimento di uno status quo, significa invece la continua ricerca di equilibri sociali e livelli di rappresentanza delle “classi subordinate” più alti, significa un processo di trasformazione continuo delle dinamiche politiche. Fare la “rivoluzione” non è semplicemente raggiungere il traguardo del seggio parlamentare e/o del governo, è, almeno così io lo immagino, un cammino che ci mette in relazione agli altri, che ci fa sentire meno soli nelle nostre aspettative di cambiamento e per il raggiungimento di un futuro migliore. Fare la “rivoluzione” ci richiede uno sforzo quotidiano e richiede che cambiare prima di tutto siamo noi stessi. Lo so che molti candidati e molti “leaders” inseriti nelle liste di Rivoluzione Civile fanno pensare che questi propositi siano mortificati in partenza, ma diceva qualcuno: “se vale la pena rischiare, io mi gioco anche l’ultimo frammento di cuore”,io penso, come non, mai che non solo valga la pena rischiare, ma occorra rischiare. Per cambiare non abbiamo bisogno di leaders carismatici, non possiamo delegare più ad altri le nostre istanze di cambiamento e le nostre aspettative per il futuro, abbiamo bisogno di metterci il nostro cuore e la ragione

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Intervista

Di seguito pubblico una mia intervista pubblicata dal sito inter-vista.it

http://www.inter-vista.it/news/item/2243-04-01-2013-|-rimini-|-la-rivoluzione-civile-di-ingroia-non-solo-con-gli-ex-sel-verso-le-candidature-locali-i-riminesi-rivoluzionari-per-antonio-ingroia-ci-sono-tra-i-promotori-autoctoni-di-rivoluzione-civile-due-ex-sel-il-consigliere-comunale-fab

Rimini, 04 gennaio 2013

Rimini | La Rivoluzione civile di Ingroia, non solo con gli ex Sel, verso le candidature locali

I riminesi rivoluzionari per Antonio Ingroia ci sono. Tra i promotori autoctoni di Rivoluzione Civile due ex Sel, il consigliere comunale Fabio Pazzaglia ed Eugenio Pari, un tempo coordinatore comunale. E di Sel o suoi ex, non solo esponenti locali del partito di Vendola ma anche molti semplici elettori, se ne sono visti diversi alle assemblee degli ultimi due mesi. “Sì, ma non solo di Sel”, precisa Pari. “Ho visto anche elettori di Pd, di Rifondazione. Ci sono persone del mondo della cooperazione, del pacifismo, cattolici militanti di

RIVOLUZIONE CIVILE

RIVOLUZIONE CIVILE

partiti, ma non è questo l’importante. L’elemento saliente non è da dove veniamo, ma dove vogliamo andare”.

La partecipazione locale è stata agli occhi dei promotori “sorprendente, con un centinaio di partecipanti alla prima assemblea”. “Qualcosa che non vedevo da tempo. Non nasce dalla disperazione di non volersi accontentare del meno peggio, ma dalla forza di volontà di creare un soggetto che intervenga non solo nelle dinamiche dei partiti ma nella società per rinnovarla a partire da organizzazioni sindacali, associazioni, cooperazione. E’ questo l’elemento rivoluzionario nello scenario politico italiano”.

Nei contenuti i sostenitori di Ingroia vogliono essere “un’alternativa forte, chiara, netta al governo Monti e al berlusconismo. E’ forte la responsabilità di tutte le forze politiche, Pd compreso, nell’aver sostenuto questo governo che ha, tra l’altro, aumentato le spese militari e tagliato quelle per la sanità. Vogliamo essere un soggetto politico nuovo in grado di esprimere in termini reali, con persone concrete e con gesti politici l’alternativa a questo corso che accomuna tutti. Oggi il Pd e anche Sel sono critici verso il governo Monti ma fino a pochi giorni fa ne hanno sostenuto tutti, proprio tutti i provvedimenti”.

Vogliono essere alternativi all’attuale sinistra frammentata. “Anche in buona fede si è sviluppata nella sinistra una forma mentis di gestione delle piccolissime forme di potere possibili. Se non se ne esce, se non si fa autocritica su questo non si e più credibili, non c’è corrispondenza tra dichiarazioni di rinnovamento e realtà. Sel all’origine questo profilo lo aveva, ma adesso si sviluppa in totale subordinazione al Pd socio di maggioranza di Monti. Con gli uomini di Vendola in posizioni eleggibili si prevede per il movimento una confluenza”.

Il rischio che anche questo possa essere un contenitore politico dove riciclarsi secondo Pari non c’è. “Dentro ci sono persone che pur avendo avuto esperienza politiche hanno, io per primo, detenuto poche parcelle di potere e questo è importante. Per rinnovare la politica occorre cambiare i comportamenti. Per essere rivoluzionari occorre iniziare a fare la rivoluzione dentro sé”.

Prossimo appuntamento per Rivoluzione civile sarà l’8 gennaio alle 20,30 presso la sala del Quartiere 2, in via Pintor. Saranno selezionati i candidati per le elezioni. “Tra le ipotesi di candidatura abbiamo persone che non hanno mai avuto incarichi politici e che in termini di militanza sociale e politica si sono sempre collocati nella traiettoria do Rivoluzione civile. C’è chi è stato discriminato e sfruttato a lavoro, per esempio, c’è chi si è impegnato nei referendum, ecc”.

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Per cambiare ci vuole una rivoluzione

Tralascio volutamente le strumentalizzazioni di giornali e politici sulla candidatura di Ingroia, anzi, con tutto il rispetto possibile per Grasso cito l’endorsement di Dell’Utri nei suoi confronti: “È sempre stato un magistrato equilibrato. Se volesse sarebbe anche un ottimo politico. Invece Ingroia è un fanatico”[1]. Sulla questione, penso, possa bastare così, o no?!

Invece ciò che è più entusiasmante è il progetto politico di “Rivoluzione civile”. Un progetto politico che con tanti limiti può rappresentare per chi crede sbagliate le scelte del governo Monti – appoggiato in tutto e per tutto dal Pd – e per chi ancora non si rassegna a votare Movimento 5 Stelle, l’unica soluzione possibile.

Io lo credo e come me lo credono le migliaia di cittadini che hanno affollato le centinaia di assemblee che, di fatto, hanno avviato il percorso politico di “Rivoluzione civile”. Questo è un dato positivo oltre che per molti versi insperato ed è un fatto che rappresenta sostanzialmente la percorribilità di un percorso politico non subordinato al centrosinistra e non ambiguo rispetto alle responsabilità enormi che il Pd ha avuto sostenendo le scelte del governo Monti insieme a Pdl e Udc.

Si vuol far credere che fenomeni come la corruzione e/o l’evasione fiscale siano fenomeni marginali, episodi che si inseriscono nella vita sociale italiana, «non è una deviazione rispetto al corso normale delle cose, una forma di perversione o di “mercato selvaggio”, ma l’espressione del suo modo di procedere e di funzionare messo in moto da gruppi di potere. Siamo in presenza di un “capitalismo reale” che ha rotto i suoi rapporti virtuosi con il mercato, sia con l’istituzione del benessere modificando la configurazione dei gruppi di potere e delle istituzioni», in sostanza, proseguendo con Amoroso non si tratta di «forme parassitarie dentro un corpo altrimenti sano dell’economia, (…). È invece il punto di maturazione di un processo di trasformazione della società (…). (…) non una rottura rispetto ai cicli precedenti, ma il loro compimento»[2].

Essere alternativi al Pd significa anche contrastare un’idea di Europa che, per come si è dimostrata, attraverso le proprie politiche di integrazione ha di fatto piegato gli stati aderenti al modello di governance della globalizzazione, l’introduzione del “pareggio di bilancio” in Costituzione voluto da Monti e approvato dal Pd è esattamente il restringimento dello spazio di decisione politica per le istituzioni democraticamente elette in favore di una delega aperta a sovra istituzioni concentrate unicamente sui temi finanziari.

Il “pareggio di bilancio” è un principio liberista perseguito dai centri di potere finanziario e dell’economia predatoria, con l’obiettivo di sancire la definitiva impossibilità per lo Stato di stroncare o, quanto meno attenuare, gli effetti economici e sociali delle loro scorribande. La logica di tagli a servizi essenziali come la sanità perseguita dalla spending review – altro atto del governo Montiè la conseguenza di questa strategia all’interno della quale sta anche l’abrogazione dei diritti dei lavoratori, ovvero la Controriforma Fornero. È chiaro, in questo caso, che dare libertà di licenziamento alle imprese mette sotto ricatto la forza lavoro, la crisi produce una riserva di lavoratori a cui attingere e da rappresentare come minaccia per chi un lavoro ce l’ha.

È sempre più evidente che le scelte politiche, quelle che riguardano il lavoro, i servizi dei cittadini in carne ed ossa, vengono adottate sulla base della reazione dei mercati finanziari e sono le infauste società di rating da essi create che scandiscono ai governi i tempi e i contenuti delle riforme da attuare. Mentre i leaders politici italiani sono impegnati in dibattiti autoreferenziali (chi ha più carisma, tatticismo politicista esasperante, ecc.) i problemi rimangono irrisolti e costoro non provano nemmeno a fare un’operazione di verità individuando l’origine dei problemi e le responsabilità. Il potere economico finanziario, che di fatto pilota questi simulacri di democrazia, lascia correre sempre pronto a scatenare campagne mediatiche populiste contro l’insufficienza e la corruzione del sistema e dei singoli.

La deregolamentazione economica, il laissez fair finanziario aprono praterie ed enormi possibilità al sistema delle mafie sempre più connesse al mondo della finanza e sempre più radicate nel sistema economico.

Occorre una rivoluzione. Una rivoluzione che prima di tutto sia in grado di parlare un linguaggio di verità e che opponga a questo corso una netta e possibile alternativa.

Ma per “fare la rivoluzione” il primo passo è partire da sé. Occorre quindi una proposta politica credibile capace di aggregare e non di tirare a campare, una proposta politica che sappia proporre un progetto di società diversa da costruire insieme alle donne e agli uomini, un progetto politico formato da persone che hanno combattuto e combattono quotidianamente sui luoghi di lavoro, nella società il corso liberista e le sue aberranti conseguenze sociali. Una rivoluzione civile fatta da persone oneste, normali, perbene, non moralista, ma etica.

Sogno una Rivoluzione senza capi, fatta di persone non di parole, del loro tenere la schiena dritta e della loro passione. Una Rivoluzione fatta da coloro che non possiedono carisma e non detengono alcuna parcella di potere, una Rivoluzione che permetta l’ascesa al vertice di tutte le basi, una Rivoluzione che sappia continuamente rinnovarsi e non dia mai nulla per scontato, una rivoluzione che consideri la critica e il dissenso per ciò che effettivamente sono ovvero il normale, seppur scomodo, esercizio della dialettica democratica. Una Rivoluzione che non espella e sappia trovare le ragioni per convincere le persone delle proprie idee, cosa che, credo, possa avvenire con l’esempio dettato dai comportamenti piuttosto che con le opinioni.


[1] Intervista a Marcello Dell’Utri di Pietro Salvatori, L’Huffington Post, 27/12/2012

[2] B. Amoroso, Euro in bilico. Lo spettro del fallimento e gli inganni della finanza globale, Rx Castelvecchi, pag. 14

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Senza censura?

Visto che il sito nazionale di SEL, da sabato, non pubblica questo commento sulla news http://www.sinistraecologialiberta.it/articoli/il-liberismo-e-il-diavolo/ lo pubblico qui.

Partendo dall’ironia di Vendola, trovo che questa intervista eluda le questioni sostanziali di un dibattito politico che invece è sostanziale. Guardiamo i fatti: fiscal compact, controriforma pensionistica, tagli alla spesa sociale e all’istruzione, abrogazione dell’articolo 18 con conseguente

libertà di licenziamento. Queste scelte sono state prese dal governo Monti, non sono calate dal cielo, queste scelte sono state appoggiate dal Pd.

Bersani, Vendola, Casini, Di Pietro

Trovo, peraltro, molto criticabile il fatto che la discussione sul programma e sulle alleanze la si debba fare su un blog solo dopo l’ennesima intervista di Vendola.
Non so se all’interno del gruppo dirigente di SEL vi siano posizioni alternative, mi pare di si, almeno leggendo le dichiarazioni* del compagno Fava che condivido completamente.
Qualsiasi formazione politica, se vuole essere tale, si deve porre il problema del governo, qualsiasi partito si deve mobilitare per raggiungere il governo del Paese. Scriveva Gramsci: “E’ nel carattere di ogni capo essere ambizioso, cioè di aspirare con ogni sua forza all’esercizio del potere statale. Un capo non ambizioso non è un capo, ed è un elemento pericoloso per i suoi seguaci: egli è un inetto o un vigliacco. (…) La grande ambizione oltre che necessaria per la lotta, non è neanche spregevole moralmente, tutt’altro: tutto sta nel vedere se l’ambizioso si eleva dopo aver fatto il deserto intorno a sé, o se il suo elevarsi è condizionato consapevolmente all’elevarsi di tutto uno strato sociale e se l’ambizioso vede appunto la propria elevazione come elemento dell’elevazione generale”. Al di là delle affermazioni di Vendola sulla post-ideologia, affermazioni che meriterebbero una discussione a parte e interventi molto più “attrezzati” del mio, uso queste parole per cercare di spiegare un concetto.
Credo che di fronte alla “macelleria sociale” adoperata dal governo Monti con l’appoggio di Pd, Pdl e Udc proporsi in una coalizione di governo con una di queste formazioni annulli qualsiasi possibilità di “invertire la rotta” su uno qualsiasi dei provvedimenti di cui sopra. Il punto non è “Udc si, Udc no” questa è una semplificazione che Vendola e il suo “cerchio magico” stanno utilizzando ad arte per eludere, ripeto, le questioni sostanziali, questioni sostanziali che stanno nel profondo cambiamento in senso anti popolare ed anti democratico che Monti e la sua maggioranza hanno varato in materie di politica economica, welfare, politiche industriali e sindacali in Italia. Cambiamenti anti popolari e anti democratici che hanno fatto precipitar la vicenda sociale e politica del paese in una prospettiva ultra liberista che una formazione di sinistra dovrebbe contrastare cercando un’alternativa di sistema piuttosto che trovare compatibilità che, alla luce dei fatti storici, si sono dimostrate impossibili da realizzare e da ideare.
Pensare che Di Pietro possa essere il perno di una coalizione popolare e alternativa al sistema liberista fa sorridere, mi sembra che Di Pietro stia cercando solo di accreditarsi agli occhi del Pd, sostenere un’alleanza politica per il governo con il Pd e l’Udc, invece, mi fa rabbrividire.
Certo, non l’ha ordinato il medico di militare in SEL, criticare è un esercizio che dovrebbe essere garantito all’interno di un partito che si dice democratico anche se mi sembra che alcuni dirigenti siano totalmente impermeabili alle critiche e ragionino solo in termini di “poltrone”, però è assurdo che una decisione di tale portata possa essere dichiarata, calibrata e discussa aspettando una dichiarazione, una sillaba, un gesto di Vendola mezzo stampa o in tv. Questa non è democrazia, questo è populismo.
Comunque sia, allego anche l’ordine del giorno dei compagni della federazione di Ancona su cui, spero, si possa ragionare.
Fraterni saluti.
Eugenio Pari

*http://www.ilmanifesto.it/attualita/notizie/mricN/8206/
DOCUMENTO CONCLUSIVO ASSEMBLEA FEDERALE PROVINCIA ANCONA 2 AGOSTO 2012

Al Presidente di Sinistra Ecologia Libertà
Ai Componenti del Coordinamento nazionale
E P.C ai Componenti della Presidenza nazionale
Coordinatori Federazioni Provinciali
Coordinamento regionale Marche

Oggetto: RICHIESTA DI CONVOCAZIONE ASSEMBLEA GENERALE DEGLI ISCRITTI
Ancona, 3 agosto 2012
La federazione provinciale di Ancona si è riunita giovedì 2 agosto per discutere la situazione politica alla luce delle recenti conferenze stampa per la presentazione dei documenti programmatici (carta d’intenti) del PD e (tempo di cambiare) di SEL.
Dalla lunga e approfondita discussione, in tutti gli interventi sono emersi il disagio e la preoccupazione per la carenza di passaggi democratici e partecipati nel Partito, soprattutto in questa fase di accelerazione che riguarda la politica delle alleanze.
Riteniamo imprescindibile il diritto degli iscritti alla “costruzione dell’indirizzo politico di SEL”, come recita lo Statuto nazionale all’Art. 2 così come riteniamo fondamentale“conoscere le determinazioni dei gruppi dirigenti ed avere accesso a tutti gli aspetti della vita democratica interna”e riteniamo che nessuna politica dell’emergenza potrà mai giustificare la cancellazione della pratica partecipativa dal basso, evidenziando che è solo l’Assemblea nazionale che ha competenza in materia di indirizzo politico e che il coordinamento nazionale ha mere funzioni operative.
Ma è evidente un sostanziale cambiamento della linea politica di SEL, e le continue accelerazioni, dichiarazioni e smentite di questi ultimi giorni, inducono allo smarrimento gli iscritti e simpatizzanti e rendono difficili i rapporti con i movimenti che invece continuiamo a considerare interlocutori privilegiati. Un cambiamento di linea che mal si colloca con il Manifesto costituente di SEL:“La nostra missione è restituire la parola alle culture critiche europee, contribuire a costruire una nuova larga sinistrain Italia ed in Europa, contribuendo, nel nostro paese, ad una alternativa politica, sociale e culturale alla destra”,e che non tiene conto nè dei documenti approvati in sede di presidenza nazionale, nè del documento conclusivo dell’assemblea nazionale del 27 maggio 2012.
Assistiamo ad un dibattito surreale se confrontato con le reali esigenze del Paese dal punto di vista di chi crede che al liberismo sia giusto rispondere con un’alternativa. Pensiamo che l’idea alternativa al governo delle destre, sia totalmente incompatibile con un qualsiasi Partito che garantisce continuità e fedeltà al Governo Monti.
Pertanto l’assemblea federale della Provincia di Ancona, dopo ampia discussione, ritenendo che questa situazione potrà trovare soluzione solo attraverso una grande, partecipata, ASSEMBLEA GENERALE DEGLI ISCRITTI, reclama che la stessa venga convocata al più presto per poter discutere nel merito del documento programmatico proposto da SEL (tempo di cambiare) in relazione alla “Carta di intenti” presentata dal PD, tenendo conto delle politiche attuate dal Governo Monti fin dal suo insediamento. Un passaggio indispensabile per dare spazio successivamente AGLI STATI GENERALI DEL FUTURO, come stabilito dall’assemblea nazionale del 27 maggio 2012. Passaggi imprescindibili per riportare chiarezza e avviare pratiche partecipative all’interno di SEL coerentemente con l’ispirazione congressuale di costruire un NUOVO PARTITO. Dobbiamo farlo nel pieno della nostra autonomia e coerenza in continuità con le nostre enunciazioni fondative, aprendo alla sinistra diffusa, quella dei movimenti, condividendo l’esperienza di ALBA, accogliendo le istanze della Fiom, del forum dell’acqua, cercando il dialogo anche con le altre forze progressiste.
Chiediamo che questo documento venga pubblicato sul sito nazionale.
In Attesa di un Vostro cortese riscontro
Fraterni saluti
Per l’assemblea Federale provincia di Ancona
Alejandra Arena Coordinatrice federale
http://selprovinciadiancona.blogspot.it/2012/08/documento-conclusivo-assemblea-federale.html

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La rabbia dei sindaci

Ieri i sindaci del Partito democratico della provincia di Rimini tutti arrabbiati e a ranghi serrati si sono recati dal Prefetto per riconsegnargli la fascia tricolore. Un gesto simbolico dietro il quale c’è una vera e propria protesta sulle modalità di riscossione dell’IMU (fino al 75% andrà in tasca allo Stato) e, da quello che ho capito, più in generale sul tenore dei rapporti Stato – Comuni dove il primo, di fatto, affida ai secondi il ruolo di “gabellieri” e sulla mancata attuazione del cosiddetto “Federalismo fiscale”.

protesta sindaci pd Rimini

Sempre a quanto ho capito l’IMU viene calcolata dallo Stato attraverso una stima. Più o meno dovrebbe funzionare così: “il tal comune ha tot seconde case, ci sono tot abitanti, è o non è un comune turistico ergo deve recuperare tot euro”. Funziona un po’ come gli studi di settore insomma.

Questo, a mio avviso, la dice abbastanza lunga sull’ideologia puramente ragionieristica di questo governo incentrata unicamente sulla contabilità economica e finanziaria piuttosto che sulla valutazione del fatto che oggi i comuni sono i principali erogatori di servizi sociali e assistenziali, servizi che possono erogare solo grazie alle entrate correnti come, nel caso, l’IMU. In più ci sarebbe  da fare un’altra considerazione: “la Repubblica è costituita dai Comuni, dalle Province, dalle Città metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato” (art. 114 comma 1 Costituzione Italiana) l’ordine in cui vengono citati gli organi della repubblica non è casuale, i comuni vengono per primi perché secondo il Legislatore (era tanto che volevo usare questa espressione), che all’epoca era un governo di centrosinistra, i comuni sono l’elemento fondante della Repubblica, insomma era un riconoscimento implicito del “federalismo” incentrato sui comuni piuttosto che sui deliri e le panzane padane della Lega.

Credo che sia sacrosanto che i sindaci protestino contro il governo e manifestino a Venezia (se si incazzano loro figurarsi cosa dovrebbe fare un lavoratore licenziato, cassaintegrato o un giovane precario o un disoccupato) però c’è da chiedersi fino a quando le forze che sul territorio protestano terranno in piedi questo governo. Non per spirito di polemica con sindaci stimati come quello di Santarcangelo Morri o altri, ma una constatazione che mi sembra d’obbligo la voglio fare e mi riferisco al Pd: è possibile continuare a dire che le iniziative del governo non vanno bene (art. 18, riforma mercato del lavoro, crescita, pressione fiscale, pacchetto anti corruzione, IMU) e poi continuare a sostenerlo in Parlamento? È possibile continuare la politica di lotta e di governo che il fondatore del Pd Veltroni imputò essere uno dei principali motivi di incompatibilità politica fra il suo partito e la sinistra cosiddetta radicale, “capo d’imputazione” ancora vigente tra le parti del partito guidato oggi da Bersani? Monti non doveva “salvarci” dal baratro dello spread (peraltro i livelli sono preoccupantemente simili a quelli di novembre) e poi andarsene? La manovra “salva – Italia” è stata fatta e pagata dai soliti noti (lavoratori, pensionati e giovani) non è il caso che il Pd stacchi la spina al governo e si torni a votare? Non è ora che, come si usa dire, il pronunciamento torni al popolo e si eserciti la democrazia piuttosto che il continuo ricatto di Alfano, Casini o dei tecnici?

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La risposta non è la sussidiarietà

Rimini, 11.10.2011

Comunicato stampa

DICHIARAZIONE DI EUGENIO PARI (COORDINATORE SEL RIMINI). ALLA PETITTI: LA RISPOSTA NON E’ LA SUSSIDIARIETA’

 

La neo segretaria del Pd Emma Petitti, a cui rivolgo peraltro un sincero augurio di buon lavoro, a fronte dei tagli al sociale sostiene che occorre ripensare il sistema del welfare locale e come pochi giorni fa  ha proclamato il Cardinale di Bologna Caffarra, anche lei sostiene che le politiche sociali debbano essere all’insegna della sussidiarietà.

Ora, da diversi anni a Rimini la sussidiarietà è diventata sistema e credo che a fronte della crisi economica che sempre più sta aumentando la frattura sociale ribadire che l’unica via d’uscita è la sussidiarietà significa partire da un principio di ineluttabilità della situazione. La risposta non è la sussidiarietà, ciò può valere per accattivarsi le simpatie della Curia, ma è necessario modificare le condizioni di fondo, perché altrimenti si accetta la situazione così com’è, anzi, la si condivide.

Occorre prima di tutto contrastare l’evasione fiscale, sostenere i redditi e le condizioni di vita dei cittadini più deboli ed esposti alla crisi, partire dai bisogni ribadendo la centralità del pubblico nel sistema del welfare.

Siccome sosteniamo che per promuovere politiche di coesione sociale occorrano più risorse pubbliche destinate al welfare locale e non tagli alla spesa e nemmeno esternalizzazioni, ci sono altre due questioni: non applicare l’addizionale IRPEF perché grava sui cittadini più esposti alla crisi, ossia lavoratori dipendenti e pensionati, rendendo insostenibile la pressione fiscale e applicare, come sempre abbiamo sostenuto, senza tergiversamenti la tassa di soggiorno che, da sola e stando alle dichiarazioni dell’assessore al bilancio, è in grado di coprire i tagli provocati dal governo.

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