Archivio mensile:ottobre 2008

INCONTRO DELLA SINISTRA RIMINESE: RIPARTIRE DALL’UNITA’ PER DARE RISPOSTE AI BISOGNI DELLE PERSONE E DEI PIU’ DEBOLI

Unire la Sinistra

Ieri sera a Rimini, alla Casa della Pace, su iniziativa del consigliere comunale dei Comunisti Italiani di Rimini Eugenio Pari, del coordinatore di Sd Massimo Reali, Diego De Podestà di Rifondazione comunista, in un incontro profondamente partecipato, affollato di politici, amministratori, rappresentanti del sindacato, dell’associazionismo, del volontariato, della cooperazione e cittadini interessati (anche tanti giovani), tutti accomunati dalla voglia di fare, si è parlato finalmente di politica e di Sinistra

Negli interventi, numerosi e appassionati, si è riconosciuto che i congressi dei diversi partiti fanno immaginare tempi lunghi, non adatti alle emergenze che scuotono dalle fondamenta la società. Il nostro territorio ha bisogno di un progetto di alternativa che parta dall’ambiente, dalla partecipazione, dall’affermazione dei diritti, insomma, di un progetto di Sinistra e la Sinistra deve rimettersi in cammino, per essere il soggetto che riuscirà ad incidere per la trasformazione democratica della società.

Occorre organizzare un’opposizione sociale, politica e culturale al governo della destra e costruire un nuovo soggetto politico della Sinistra, capace di produrre grandi iniziative popolari, di produrre senso, non solo di cercare consensi. Fatti gravi sotto gli occhi di tutti, l’aggressione all’ambiente, la precarizzazione del lavoro e dell’esistenza, lo svuotamento della democrazia e la tecnicizzazione dei sistemi di governo, tutto ciò produce astensione e sfiducia verso la politica e da qui tutti gli intervenuti di ieri sera vogliono partire. Hanno dato la loro adesione e vogliono portare il loro contributo uomini e donne della società civile, appartenenti a Rifondazione comunista, ai Comunisti italiani, tutta Sinistra democratica, i Verdi con il coordinatore Mario Galasso e il consigliere provinciale Luigino Garattoni. Tutti insieme in un grande cantiere di lavoro hanno deciso di partire, di parlare dei bisogni di chi ha più bisogno e di rivolgersi in primo luogo a loro e non alle possibili coalizioni elettorali che, se verranno, si potranno realizzare solo partendo dalle risposte ai bisogni della gente.

Ci si è salutati con l’impegno e la volontà di rivedersi con un progetto di lavoro che potrà produrre un percorso comune per le prossime elezioni comunali e provinciali.

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Elettrosmog. Un passo avanti per spostamento cabine trasformazione Enel

Da www.newsrimini.it – 22 ottobre 2008

Dopo anni di battaglie, arrivate anche in tribunale, e 8.000 firme di solidarietà raccolte, finalmente una buona notizia per la famiglia Minnei di Rimini.

RIMINI | 22 ottobre 2008 | La commissione consiliare del Comune ha dato parere favorevole allo spostamento della cabina di trasformazione Enel vicino all’abitazione della famiglia.
Una sentenza del 2006 ha assolto dalle accuse di negligenza e imperizia il tecnico Enel responsabile del posizionamento della cabina di trasformazione di via Paci 9, proprio sotto l’abitazione della famiglia Minnei che da 10 anni si batte per farla spostare a causa delle onde elettromagnetiche che ne derivano.
Lo stesso giudice, nella sentenza, aveva però chiesto di effettuare nuove rilevazioni e suggerito lo spostamento della cabina in un box nell’area verde confinante con l’appartamento. Il giudice si era poi appellato al rispetto del principio di precauzione: anche se non è provato quindi che le onde danneggiano la salute, meglio trasferire comunque la cabina.
Ad un più semplice buon senso si appella invece Salvatore Minnei, 75 anni ex camionista. “Noi – dice il proprietario dell’abitazione – siamo praticamente ad un metro di distanza dal trasformatore. Chiediamo di poter vivere in un ambiente decente. Qualcuno è arrivato a dirmi che mi conveniva cambiar casa. Ma come è possibile – prosegue con enfasi Minnei – io ho sempre lavorato e mi sono sacrificato per comprare questa casa. Ora la lascio a mia figlia pensando di farle un dono e invece la lascio in questa situazione”.
La figlia del signor Minnei soffrirebbe infatti da tempo di problemi di salute che sarebbero collegabili alle emissioni della cabina.  Cabina che, negli ultimi anni, ha subito modifiche per limitare l’impatto all’interno dell’abitazione. Fuori però i livelli restano sopra la soglia prevista dalla legge e si attestano mediamente tra i 10 ed i 14 microtesla (i picchi rilevati dall’arpa sono di 30 microtesla). Il limite di legge è 10. L’area interessata è limitata ad una piccola porzione di giardino, vicino al muro perimetrale esterno della cabina. Un area piccola (le emissioni più alte si registrano a 20 centimetri dalla parete) ma “si tratta comunque di una limitazione – dice il professor Fausto Bersani, tecnico di Federconsumatori – alla libertà di fruire di un’area di cui si è proprietari. Se la signora Minnei volesse sedersi in cortile a leggere un libro si troverebbe esposta ad emissioni di valore ben superiore a quello ambientale”.
Dopo anni di battaglie, oggi una buona notizia. La commissione comunale ha approvato, con parere bipartisan, la mozione del consigliere Pari per lo spostamento della cabina. Situazioni analoghe riguardano altri 300 impianti a Rimini.
Col parere favorevole di Enel, che ha dato disponibilità (fa sapere il consigliere Pari), e uno stanziamento comunale di 40-50mila euro si potrebbero spostare le cabine in aree più sicure. L’ideale, dicono i tecnici, sarebbe posizionarle in zone di passaggio (parcheggi o aree verdi) dove le persone sostano solo per qualche minuto e non subiscono consegunze negative per la salute (che si registrano solo con esposizioni continutive nel tempo).

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Domande alle sinistre

Rossana Rossanda

di Rossana Rossanda

Non credo che una sinistra possa dirsi esistente se di fronte alla più grossa crisi del capitalismo dal 1929 non sa che cosa proporre. Questi erano i lumi che la cittadina sprovveduta chiedeva di avere dai leader delle sinistre e dell’opposizione e dagli amici economisti, ma non ne ha avuti. Stando così le cose, mi azzardo ad avanzare alcune osservazioni e proposte elementari che, se sono infondate, spero vengano vigorosamente contraddette. Prima osservazione. Perché le sinistre non si chiedono la ragione per cui non solo le destre thatcheriana e reaganiana ma anch’esse si sono e restano persuase che non c’è altra via economica da percorrere che non sia la privatizzazione (spesso liquidazione) di tutti i beni pubblici e di gran parte dei servizi, quelli di interesse sociale inclusi? E perché era giusto incitarli alla concorrenza dentro e fuori i confini nazionali ed europei? La destra ha detto che i privati li avrebbero gestiti meglio e che le tariffe si sarebbero abbassate, ma questo non è successo affatto e in nessun luogo. Seconda osservazione. Perché le sinistre hanno accettato, talvolta mollemente opponendosi, la detassazione delle imprese, delle successioni e delle grandi fortune, togliendo entrate allo stato, nella previsione che i capitali, rimpinguati, sarebbero stati investiti nella produzione? Non è stato affatto così, la produzione non è mai stata così bassa, fino all’orlo – per esempio in Francia – della recessione. Terza osservazione. Perché le sinistre, che fino a ieri rappresentano il lavoro dipendente, hanno accettato che per facilitare la crescita si dovessero abbassare, rispetto al passato, i salari mentre lo Stato doveva restringere nella spesa sociale quel tanto che c’era di salario indiretto (vedi, in Italia, finanziaria e protocollo sul welfare dell’anno scorso)? Con l’ovvia conseguenza di una caduta generale del potere di acquisto in tutti i ceti dipendenti? Stando così le cose non occorrono grandi discussioni filosofiche sulla crisi della politica. Quarta osservazione. Non so se dovunque, ma è certo che in Italia questa strada ha condotto non solo a una produzione bassa ma non puntata sull’innovazione di prodotto, bensì al basso costo del lavoro, in questo dando la testa al muro, o cercando le condizioni per delocalizzare, perché sia nell’Est del nostro continente sia fuori di esso i salari sono ancora più bassi che da noi. Quinta osservazione. Perché le sinistre e le loro stesse teste d’uovo non si sono accorte che i capitali, invece che in produzione se ne andavano sia in modo legale sia in modo fraudolento, nella speculazione finanziaria, dandosi a tali demenze che stanno sbaraccando l’intero sistema? 

Ultima osservazione. Perché le sinistre non sanno dire altro, a mezza bocca o con grandi sorrisi, che i buchi formati dalle banche, dalle assicurazioni e dagli hedge fund, mandati a picco per demenza dei loro dirigenti, vengano sanati col denaro pubblico, cioè quello dei contribuenti, senza chiedere nessuna proprietà pubblica effettiva in cambio? Suppongo la risposta: non si può reimmaginare un intervento pubblico perché si sa che lo stato gestisce malissimo. Già. Perché, il privato gestisce bene? Nell’epoca dei «trenta gloriosi», cioè della partecipazione pubblica e statale, nessuno di questi immensi guasti si è verificato. Dunque in nome di che cosa, che non sia il pregiudizio, non viene oggi riproposta una politica di intervento pubblico? Certo esso implica darsi non solo una linea economica ma un metodo di gestione pubblica pulito, fatto di diritti chiari invece che ottativi. Perché è vero che questo è mancato dando luogo a quelli che sono stati chiamati boiardi di stato e a clientelismi di vario tipo. Un intervento pubblico non sarebbe il socialismo, come qualche ignorantissimo afferma, ma darebbe luogo a una forma di contrattazione partecipata fra cittadini e istituzioni assai diversa dall’attuale riduzione della democrazia a fiera quinquennale del voto. Chi ci impedisce di metterci a ripensarlo? Nessuno. Chi lo propone? Nessuno. Salvo qualche isolato pensatore americano come Krugman con la riproposizione di un new deal. Chi dirige la musica in Italia è ancora Berlusconi, con la sua speranza che la «scarsa» modernizzazione delle banche italiane ci salvi dal terremoto. Con maggior ragione si può obiettare che una politica di intervento pubblico non si fa da soli, tantomeno in tempi di globalizzazione e dopo che lo stato nazionale si è consegnato mani e piedi alla Costituzione europea che, sotto il profilo politico, è flebile, come si è visto nel caso dei rom e, sotto quello economico, è superliberista. Da parte mia, obietto che lo spazio europeo può essere invece una carta da giocare, per la sua dimensione e la sua moneta unica; vi si potrebbero mettere in atto i processi macroeconomici che oggi un intervento pubblico comporterebbe. Che cosa impedisce che una sinistra possa e debba muoversi su questo terreno su scala continentale? Non penso che mancherebbero le resistenze, e potenti. Ma questo è il momento per aprire il conflitto con qualche possibilità di vincere. I lavoratori europei non sarebbero con noi, invece che darsi alla disperazione o consegnarsi alla Lega o al primo Haider che passa perché gli salvi protezionisticamente l’azienda? La verità è che si tratta di una scelta non «economica», ma «politica». Ecco quanto. Naturalmente sono pronta a riflettere su tutte le critiche demolitrici che mi si vorranno inviare.

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PER UNA COSTITUENTE DI SINISTRA ANCHE A RIMINI

È un ricordo del periodo più bello, e determinante di una vita. È finito, bisogna sapere ricominciare.”

Pier Paolo Pasolini su Vie Nuove (1962)
La netta vittoria della destra e la contemporanea sconfitta elettorale della sinistra, la sua frantumazione dopo un infelice tentativo di unità, i limiti evidenti comparsi nella stagione congressuale, lasciano aperti e irrisolti due problemi: l’organizzazione di un’opposizione sociale, politica e culturale al governo della destra e la costruzione di un nuovo soggetto politico della sinistra. Le due questioni sono fra loro intrecciate, nei temi e nei tempi. Come questo può avvenire è tema di un confronto che deve vedere la partecipazione di tutti quei soggetti che credono nella critica politica senza rifuggire dalla stessa.

La profonda crisi economica e sociale, dettata dalla finanziarizzazione e dalle rendite in economia apre un paradosso. Da un lato le contraddizioni di questo modello sono sotto gli occhi di tutti. Dall’altro lato la sinistra italiana macina sconfitte, annaspa nel vuoto, è in crisi d’identità. La sinistra rischia di sparire quando i suoi avversari storici sono scossi fin dalle fondamenta e proprio quando la società avrebbe bisogno di un progetto di alternativa che parta dall’ambiente, dalla partecipazione, dall’affermazione dei diritti, insomma, di un progetto di sinistra.

I congressi di partito pur nella loro diversità, fanno emergere progetti che non vanno al di là di qualche mese, al massimo si spingono fino alla soglia delle prossime scadenze elettorali, amministrative ed europee, della prossima primavera. La sinistra appare prigioniera, più che immersa, di un presente che ne esalta l’autoreferenzialità e le spinte identitarie. In questo modo non può nascere niente. La sinistra deve rimettersi in cammino, cercando la direzione giusta se vuole essere un soggetto di trasformazione democratica della società. Per questo è indispensabile una analisi collettiva delle nuove contraddizioni. Solo dallo sforzo della risoluzione dei nuovi problemi può rinascere una sinistra che dia risposte alla tremenda crisi di civiltà che fa da sfondo a tutte le vicende contemporanee. Una sinistra senza aggettivi, memore del passato ma non prigioniera di esso e delle sue categorie, una sinistra capace di produrre senso, non solo di cercare consensi.

La scommessa del Partito democratico, risulta debole, insufficiente e lascia un grande vuoto a sinistra. Ma questo spazio non può essere riempito senza una forte soggettività di pensiero e di azione, di fronte all’attuale sconfitta c’è il pericolo concreto che prevalga una scelta contemplativa o un generico ribellismo.

Per intraprendere questo cammino la sinistra ha bisogno di umiltà e coraggio. L’umiltà di chi sa di non avere delle risposte precostituite e il coraggio di chi è consapevole che le scelte vanno fatte. Occorre quindi aprire una riflessione pubblica sui grandi temi che riguardano il sistema globale e anche su quelli che riguardano il governo locale che hanno tratti comuni: l’aggressione all’ambiente, la precarizzazione del lavoro e dell’esistenza, lo svuotamento della democrazia e la tecnicizzazione dei sistemi di governo. Tutto ciò produce astensione e sfiducia verso la politica.

La crisi della sinistra non ha però cancellato l’esistenza di centri di iniziativa e produzione culturale. Da questi giungono idee, pratiche, indicazione oltre che la preziosa disponibilità a partecipare in prima fila alla costruzione di una opposizione alle destre per un nuovo soggetto di alternativa. Raccogliere e mettere a confronto queste esperienze che se lasciate isolate rischierebbero di esaurirsi è un passo decisivo nella costituente di una nuova sinistra. Per questo la discussione che proponiamo sarà aperta e non circoscritta ad ambiti partitici. Non è l’identità del passato che cerchiamo, ma quella del futuro.

Se condividi la necessità di incontrarci per discutere ci vedremo

LUNEDI’ 27 OTTOBRE 2008 ALLE ORE 21.00

presso

CASA DELLA PACE, VIA TONINI 5 – RIMINI

(VICINO MUSEO COMUNALE)

Siete pregati di diffondere la notizia ad amici, compagni e conoscenti

info: 346.3756798; 334.6766149

DICHIARAZIONE DI EUGENIO PARI SULL’INFILTRAZIONE DI ORGANIZZAZIONI CRIMINALI NELLA NOSTRA REALTA’

Eugenio Pari

Rimini, 21 ottobre 2008

L’infiltrazione nel nostro territorio di soldi e attività della criminalità organizzata, in particolare del famigerato clan dei casalesi, come riportato da una relazione della DIA (Direzione investigativa antimafia) è un fenomeno in costante crescita che sarebbe grave sottovalutare e considerare solo come notizia giornalistica. La questione è tremendamente seria e nessuno vuole fomentare facili allarmismi.
Non è da oggi che la Commissione parlamentare antimafia e la DIA stessa evidenziano queste infiltrazioni, ma la crescita delle attività criminose, in particolare della camorra, è esponenziale, anche grazie ad una predisposizione del nostro tessuto economico che per caratteristiche si presta ai fenomeni di riciclaggio.

Aumentano, cosa gravissima, i fenomeni di estorsione con il rischio di soffocare le tante attività economiche della nostra realtà.L’economia della rendita è un ottimo canale per chi deve investire ingenti capitali frutto di attività criminali, la sovrabbondanza di immobili è una occasione per chi si ritrova a dover collocare enormi quote di denaro contante e Rimini, ma più in generale la riviera, sono un terreno fertilissimo per questo genere di attività. Occorre dunque una profonda riflessione anche sul modello di sviluppo economico che intendiamo intraprendere nel futuro per impedire il radicarsi di organizzazioni criminali e delle loro attività.

La nostra realtà però ha ancora gli anticorpi per poter contrastare questi bubboni, occorre che le associazioni di categoria, l’imprenditoria, la finanza locale e, soprattutto, le istituzioni prendano coscienza di questa emergenza e organizzino una risposta risoluta. Occorrono pressioni verso il governo
centrale e per potenziare le strutture della giustizia e per coordinare con più forza le azioni investigative.
In questo senso ho sempre ribadito che la semplice richiesta di più uomini, magari per contrastare l’abusivismo commerciale, è insufficiente quando le organizzazioni della grande criminalità vedono nelle nostre città un terreno di conquista. Soprattutto non si può continuare a fingere che il problema non ci
sia.

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Dove sta la sinistra?

Di Josè Saramago

http://cuaderno.josesaramago.org/

In una intervista di tre o quattro anni fa ad un quotidiano sudamericano, credo argentino, uscì una mia dichiarazione di quelle destinate a suscitare reazione, dibattito, scandalo(a questo punta arrivava la mia ingenuità) fra le forze locali della sinistra e poi come un’onda che si muove a cerchi, nei media internazionali politici, sindacali, culturali che fanno riferimento appunto alla sinistra.
La frase era la seguente: «La sinistra non ha la minima idea del mondo in cui vive».

Alla mia affermazione, deliberatamente provocatoria, la sinistra rispose con il più gelido dei silenzi.
Nessun partito comunista, per esempio, cominciando da quello a cui appartengo intervenne per ribattere o semplicemente discutere sulla verità o la falsità delle mie parole. A maggior ragione nessuno dei partiti socialisti che governano in Portogallo o Spagna ritenne necessario intervenire.
Niente di niente, silenzio totale come se nelle tombe ideologiche dove si rifugiano non ci fosse che polvere e ragnatele.

Per alcuni giorni mi sentii escluso dalla società umana come un appestato, vittima di una sorta di cirrosi mentale. Arrivai a pensare che su di me circolava più o meno questa frase: «Poveretto, che ci si poteva aspettare alla sua età?» Il tempo è passato, la situazione del mondo si è andata complicando sempre più e la sinistra impavida seguiva gli obiettivi che al governo o all’opposizione le erano stati assegnati. Io intanto avevo fatto un’altra scoperta quella che Marx non aveva avuto tanta ragione quanto oggi e pensavo quando è esplosa la burla tremenda dei mutui Usa che la sinistra, se ancora era in vita, avrebbe aperto bocca per dire quello che pensava sul tema. Ma io ho la spiegazione: «La sinistra non pensa, non fa, non rischia neanche un pizzico». Passò quel che passò, fino a quello che sta accadendo in queste ore e la sinistra, continua a non pensare, a non fare, a non rischiare. Per questo non è fuorviante la domanda del titolo: «Dove sta la sinistra?». Ho pagato care le mie illusioni.

Beata ignoranza

Maria
Stella d’ignoranza.
Il governo è con te.
Tu sei benedetta da Tremonti
E benedetto è il trucco dei tuoi tagli.
Senta Maria
L’ira della scuola
Che vuol negare ai bambini
come a chi lavora.
Non le è permesso
ne ora ne mai
Di decidere così
la nostra sorte.

A Rimini qualcosa deve cambiare

Lettera aperta al Corriere di Rimini, pubblicata il 3 ottobre 2008

Di Eugenio Pari

Da diversi mesi, se non anni, sempre più nella nostra città vi è un senso di disaffezione rispetto alle scelte di governo dell’Amministrazione. Scelte troppo spesso dettate da logiche di gestione del potere piuttosto che improntate verso un chiaro disegno di sviluppo della comunità riminese.
Un’economia basata sulle congiunture e con una classe imprenditoriale concentrata sulla rendita piuttosto che sugli investimenti. Un panorama politico dove sulle questioni decisive per la città si registra un sostanziale unanimismo tra centro destra e centro sinistra, pensieri difformi non sono tollerati.
Il vostro giornale sta ospitando numerose lettere di cittadini e autorevoli rappresentanti della cultura cittadina critici verso scelte di governo del territorio improntate sulla cementificazione che tutti sappiamo andare a vantaggio di pochi e a discapito della maggioranza. Scelte adottate con procedimenti che restringono la partecipazione a pochissimi soggetti, scarsamente rappresentative di una città di 140 mila abitanti. Si direbbe un’avanguardia che dopo diversi anni ha deciso di uscire allo scoperto ed invocare una inversione di rotta specie nelle politiche di governo del territorio. Sarebbe però errato pensare che i nodi problematici di Rimini e delle altre città possano condensarsi unicamente nella “questione urbanistica”.
L’urbanistica, ormai ridotta a strumento di contrattazione tra pubblico e privato, dove quest’ultimo considera la città terreno di conquista e non bene comune, può essere il metro di misura per considerare la privatizzazione dei comuni applicata in tantissimi altri campi, dove più che l’esigenza della collettività sembra sempre più prevalere la logica delle compatibilità finanziarie che sacrificano beni conquistati con decenni di rivendicazioni sociali, beni e servizi che hanno contribuito in modo essenziale al livello di
coesione sociale che ancora è molto alto nella nostra Regione.

Non c’è più un ancoramento ideologico da parte del personale politico e dei cittadini e questioni come l’immigrazione, le politiche per la casa, lo sviluppo cittadino e i servizi sociali sono considerati solo attraverso logiche speculative, quella scelta può portare tot voti; oppure attraverso calcoli ragionieristici che impediscono di aggredire il malessere sociale diffuso dando risposte a chi nonostante gli sforzi non riesce a sbarcare il lunario a fine mese.
Esiste un conflitto ed è bene che ciò emerga e che da un impegno diffuso nella città prenda corpo l’ipotesi di una alternativa. Il conflitto tra due concezioni e due strategie: quella della città come merce, tipica del
neoliberalismo e caratterizzata dal vedere la città come una macchina fatta per arricchire gli appartenenti agli strati alti della società globale, e la città come bene comune, come costruzione collettiva finalizzata alle esigenze, ai bisogni, alla crescita delle persone che vi vivono, vi lavorano, vi abitano.  
Cresce l’ingiustizia, crescono le privatizzazioni, crescono le distruzioni dei beni comuni. Ma ecco allora, all’interno stesso delle condizioni provocate dal dominio dell’ideologia neoliberale e della città come merce, i germi della possibile speranza. Per dirlo con una sintesi, se la città non incontra la politica perché la politica ha scelto altre strade, essa può resistere e rinascere alleandosi con la società. È su questo tentativo che chi fa politica nelle istituzioni deve ritrovarsi, ritrovarsi sulla definizione di idee comuni
partendo da che cosa si possa considerare sviluppo. Nel linguaggio corrente il termine sviluppo non ha più alcuna connessione con la crescita delle capacità dell’uomo di comprendere, amare, godere, essere, dare. Sviluppo significa oggi unicamente crescita quantitativa delle merci, ossia dei prodotti di una produzione obbligata a crescere sempre di più (a sfornare e a vendere sempre più merci) per non morire (per non essere schiacciata dalla concorrenza),e cresce appunto attraverso la produzione indefinita di merci finalizzate solo ad essere vendute, indipendentemente dalla loro utilità. Consistenti correnti di pensiero, che cominciano a tradursi in pratiche, hanno rivelato che questo sviluppo è arrivato a un punto mortale. Si sono manifestati i limiti delle risorse disponibili sul pianeta, e la loro esistenza configge con la natura stessa di questo sistema economico, obbligato alla crescita indefinita. Altro tema è la sussidiarietà tanto invocata, ma alla fine praticata secondo l’assunto che: chi può paga, chi non può pagare non accede ai servizi o accede
a servizi di scarso livello.
Occorre un nuovo modo di fare politica, una politica che sappia parlare a tutta la società e cosa più difficile una politica che oltre trovare l’origine dei problemi e dei disagi sappia trovare risposte.

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