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La subcultura rossa

Di Eugenio Pari

Una definizione di subcultura politica territoriale è offerta da Trigilia quando afferma che essa

”fa riferimento a un sistema politico locale caratterizzato dal predominio di un parito, da una robusta organizzazione della società civile e da un’elevata capacità di mediazione dei diversi interessi”[1].

Nell’Italia repubblicana, ai fini del nostro ragionamento, esistono due grandi “zolle”, per dirla con Anderlini, prettamente caratterizzate dal “predominio di un partito”: una è quella della subcultura “bianca” a monopolio Dc, una è quella “rossa” connotata dal monopolio della sinistra a prevalenza Pci. È importante notare che questa distinzione non corrisponde ad una precisa classificazione geografica, in quanto nelle regioni stesse esistono enclave dell’uno o dell’altro partito. Queste zone politiche monopolizzate dai due grandi partiti della cosiddetta Prima repubblica, secondo Anderlini[2] per quanto riguarda la Dc nel Nord sono: la zona del Veneto Centrale, Friuli, la zona orientale della Lombardia, il Cuneese, l’area di confine fra Liguria ed Emilia, la Lucchesia ed il Maceratese. Per quanto riguarda il Pci si tratta invece dell’Emilia centrale (corrispondente all’area padana delle province di Bologna, Modena e Reggio Emilia), la Toscana (con i suoi picchi nella Valdelsa, nel Senese e nel Livornese), l’area Romagnolo – marchigiana e l’Umbria (pressoché totalmente).

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Una festa de L’Unità

Queste due subculture politiche si sono storicamente determinate nel tempo, trovando nelle tradizioni culturali e sociali fattori di uno sviluppo che ha portato alla loro precisa definizione politica in una forma più o meno coerente con quella che abbiamo conosciuto nel Secondo dopoguerra “con l’organizzazione e istituzionalizzazione dei due nascenti movimenti popolari (quello socialista e quello cattolico” in un rapporto comunque, per ambedue, conflittuale nei confronti dello Stato nazionale.

Ramella riporta che le due subculture

“rappresentano in origine forme di ‘difesa della società locale’ di fronte alla stabilizzazione del mercato e dello Stato nazionale alla fine dell’Ottocento”[3]

e nella “zona rossa”, quella su cui si sta cercando di ragionare questa “protezione” della società locale avviene con l’esperienza del “socialismo municipale”.

È quindi necessario definire l’espressione “socialismo municipale”. Con essa si intende l’insieme delle politiche avviate dai diversi movimenti e partiti socialisti europei al fine di conquistare e gestire le amministrazioni locali e i governi comunali.[4]

La conquista dei comuni a partire dal 1900 divenne il termine attraverso il quale il movimento operaio e i partiti socialisti europei tentavano di realizzare servizi essenzialmente rivolti ai cittadini più poveri per mitigarne le condizioni di bisogno e subalternità attraverso la fornitura di servizi, la funzione dei comuni era essenzialmente legata al sostegno della classe operaia, anche attraverso iniziative di riforma fiscale tese a una tassazione diretta comunale che colpisse i ceti più ricchi ridistribuendo in servizi queste risorse.

L’origine del socialismo municipale consisteva nel fatto che

“esclusa dal potere centrale, la sinistra aveva avuto modo di sperimentare nelle amministrazioni locali un suo progetto di governo e riorganizzazione della società. In altre parole, esso era stato espressione tipica di una sinistra di opposizione. Soprattutto dopo la seconda guerra mondiale le pratiche di governo locale perdono di specifico rilievo allorché si confondono in una più generale opera di governo svolta dalla sinistra al centro come alla periferia. È chiaro quindi che da allora i contorni del fenomeno sfumano, non perché non ci sia più una politica amministrativa delle sinistre, ma perché questa non si configura più come una pratica forte di spiccata identità, come dimostra anche il fatto che il termine ‘socialismo municipale’ cade in disuso. L’eccezione è ovviamente data da quei paesi in cui la sinistra, o comunque la sua maggior componente, continua a restare lontana dal potere centrale”.[5]

In Emilia Romagna, caso paradigmatico dell’esperienza di governo del Pci e della sinistra italiana, a partire dal Dopoguerra già con l’insediamento delle giunte guidate dal C.l.n. l’intervento pubblico ebbe un effetto moltiplicatore nella direzione delle politiche keynesiane indirizzato alla ricostruzione industriale ed economica e soprattutto antimonopolistica.Risultati immagini per socialismo municipale

Ramella identifica diverse fasi[6] che hanno caratterizzato la storia elettorale del Pci nelle aree della “subcultura rossa”, fasi che possiamo applicare anche al nostro ragionamento sull’Emilia Romgna e si tratta di:

  • Un prima fase detta del radicamento che si apre con le prime elezioni democratiche, quelle per l’elezione della Costituente nel 1946. In questa fase il Pci, uscito dalla clandestinità e dalla lotta di Resistenza, si riorganizza all’interno di un sistema democratico, o, per meglio dire, che il Pci cercherà di indirizzare verso una democrazia popolare. Sono anni di accesissima contrapposizione con la Dc, anni in cui il Pci cercherà, parafrasando Gramsci, di rafforzare le proprie “casematte”, ovvero di “difendere il suo insediamento elettorale” senza però mostrare “una grande capacità di espansione”. Nell’ottica del “Partito nuovo” le organizzazioni collaterali come il Sindacato, il movimento cooperativo e quello associativo, nonché le amministrazioni locali controllate dal Partito hanno un ruolo di sostanziale subordinazione verso quest’ultimo. Il Partito punta ad un aumento delle adesioni e coltiva il senso di appartenenza fra i propri militanti. “Il Pci raccoglie prevalentemente consensi nei ceti popolari, soprattutto tra i mezzadri, nel mondo agricolo e tra gli operai e gli artigiani nelle realtà urbane”.[7]
  • La seconda fase che va dal 1958 fino al 1976, vede una forte espansione in termini di consenso elettorale a vantaggio del Pci. È una fase nella quale il Pci con il governo locale la funzione di cui abbiamo già parlato di sostegno alla piccola e media impresa attraverso un ruolo di mediazione del conflitto sociale, una fase nella quale si realizzano infrastrutture e si allargano i servizi sociali favorendo il “compromesso” o, per meglio dire, la collaborazione se non addirittura l’alleanza fra le classi sociali. In questo quasi trentennio “le organizzazioni degli interessi acquistano una certa autonomia nei confronti del Pci e assumono un ruolo crescente nella mediazione del consenso. La riproduzione della delega politica avviene ora su basi più strumentali e condizionali, legate al giudizio dato sulle politiche messe in atto dal Pci e dagli amministratori locali”[8].
  • La terza fase, quella del declino che va dal 1976 al 1992 e corrisponde agli anni della crisi del Pci. È una fase in cui si assiste ad una profonda ristrutturazione economica e in questa fase a livello locale il Pci, “per buona parte degli anni ’80, mostra una migliore tenuta rispetto al declino elettorale a livello nazionale, grazie al [suo] più solido insediamento organizzativo (…). Dall’altro, sulla fine del decennio e ancor più dopo la [sua] scomparsa (…), lascia intravedere un indebolimento della fedeltà elettorale e una tendenziale omologazione ai comportamenti di voto del resto d’Italia”.[9]
  • Il sistema maggioritario e la ricomposizione dello scenario politico permette ai partiti eredi del Pci di arginare le perdite elettorali e intorno al 1996 si assiste ad una fase di ricompattamento che raggiunge il proprio apice nel 1995. A questa ricrescita del consenso, che riporta i partiti post ed ex comunisti ad un consenso aggregato pari, o quasi, a quello della fase apicale, non corrisponde invece una riduzione del declino organizzativo.

    “A seguito della riforma delle autonomie e dell’introduzione dell’elezione diretta del sindaco, aumenta anche l’indipendenza degli amministratori locali e questo tende spesso a creare conflitti tra le giunte e i partiti che compongono le maggioranze consiliari che le sostengono (…).”[10]

  • Infine l’annus horribilis in cui si intravedono le prime crepe al sistema che apparentemente sembrava monolitico. Vi è un fatto politico che corrisponde a questa fase categorizzata da Ramella, ed è il 1999, anno in cui alle elezioni amministrative la sinistra perde l’amministrazione della città di Bologna, amministrazione tenuta ininterrottamente dal Dopoguerra e prima del fascismo guidata dai socialisti. A dire il vero la parentesi di Guazzaloca durerà solo una legislatura, ma l’aver perso la guida del capoluogo della regione ha un effetto anche psicologico: quello che deriva dall’aver interrotto il monopolio politico della sinistra. Ramella esemplifica efficacemente questa fase sotto la formula del scongelamento.

    “Dopo l’arretramento del 1999 si registra una modesta ripresa alle regionali del 2000, seguita da una pesante sconfitta nel 2001 e da un nuovo recupero alle provinciali del 2004”[11]

Ritorneremo su questo aspetto ma è interessante rendere un grafico elaborato su dati del Ministero dell’Interno  in cui Ramella riporta questi dati.

 

La forza elettorale del Pci e dei partiti postcomunisti secondo le varie fasi (Camera dei deputati; % di voti validi)

 

 Le fasi 1946-58  radicamento 1958-76

crescita

1976-1992

Declino

1992-1996

ricompat

tamento

1996-2001

scongela

mento

%

1958

Var.

1958-46

%

1976

Var. 1976- 58 %

1992

Var. 1992 -76 %

1996

Var. 1996– 92 %

2001

Var. 2001 – 96
Emilia Romagna 36,7 -0,9 48,5 11,8 39,6 -8,9 43,9 4,3 35,9 -8,0
Toscana 34,4 0,8 47,5 13,1 39,3 -8,2 47,2 7,9 40,1 -7,1
Umbria 30,8 2,9 47,3 16,5 40,5 -6,8 45,5 5,0 35,9 -9,6
Marche 25,7 3,9 39,9 14,2 31,3 -8,6 39,1 7,8 30,1 -9
Italia 22,7 3,8 34,4 11,7 21,7 -12,7 29,7 8 23,3 -6,4

 

[1]In F. Ramella, Cuore rosso? Viaggio politico nell’Italia di mezzo, Donzelli Editore, Roma, 2005, pag. 26

[2] F. Anderlini, Il voto, la terra, i detriti. Fratture sociali ed elettorali dall’alba del 2 giugno 1946 al tramonto del25 febbraio 2013, Ed. Socialmente, Bologna, 2013, pag. 150

[3]F. Ramella, Cuore rosso? Viaggio politico nell’Italia di mezzo, Donzelli Editore, Roma, 2005, pag. 27

[4] Dogliani P., Enciclopedia della sinistra europea nel XX Secolo, pag. 593, Editori Riuniti, 2000

[5] Dogliani P., Enciclopedia della sinistra europea nel XX Secolo, pag. 593, Editori Riuniti, 2000

[6] F. Ramella, Cuore rosso? Viaggio politico nell’Italia di mezzo, Donzelli editore, Roma, 2005, pag. 50

[7] F. Ramella, Cuore rosso? Viaggio politico nell’Italia di mezzo, Donzelli editore, Roma, 2005, pag. 50 – 51

[8] F. Ramella, ibidem, pag. 51

[9] F. Ramella, ibidem, pag. 55

[10] F. Ramella, Cuore rosso? Viaggio politico nell’Italia di mezzo, Donzelli editore, Roma, 2005, pag.54

[11] F. Ramella, ibidem, pag. 56

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