Il mandante di se stesso

Di  Michele Prospero – Il manifesto, 19.01.2011

Silvio Berlusconi

Con il turbamento del Quirinale comincia a calare ormai il sipario su un re nudo e sempre più solo. E per questo imprevedibile. Berlusconi esce di scena (a meno di colpi di coda, di cui pure il pittoresco personaggio è sempre capace) non solo per le misere debolezze della carne che l’hanno messo nei guai fino al collo. La fine politica del vecchio statista post-democratico dalle insane voglie si era già consumata con l’immagine dissacrante di Fini che, con il dito indice alzato, rompeva platealmente con un capo sbigottito per la sua suprema potestà violata in pubblico da un possibile delfino.
Lì, nell’unica direzione che abbia mai convocato del suo partito personale, era già sancita la inappellabile sconfitta politica di Berlusconi. La maggioranza e il suo partito di plastica si erano all’improvviso dissolti al vento. Dopo di allora, il suo cadavere ha continuato a camminare ma appunto solo come uno spettro.

Con un tocco di sfrontata provocazione, ha persino imposto la dura legge dei (suoi) numeri alla logica piana della politica che a dicembre aveva progettato una indispensabile rivoluzione parlamentare per farlo fuori. Per tre voti è rimasto in sella e il suo fantasma ha continuato ad aggirarsi ancora nei luoghi del potere con la sola ambizione di durare qualche giorno in più. Gli sbrigativi metodi della contrattazione privata con i singoli deputati disponibili ad abboccare alle sue lusinghe lo hanno salvato dal baratro ma non gli hanno restituito certo una potenza politica. Proprio sul campo politico il cavaliere è stato sconfitto ma non costretto ad abdicare.
La notte della seconda repubblica non è calata improvvisa per la scoperta della costosa volontà di vitalismo sprigionata da un dorato corpo decrepito che scalpitava nelle segrete stanze di Arcore all’ombra di fanciulle in fiore. Non è vero che siano stati ancora una volta i magistrati a rimuovere l’ingombro di un capo scomodo e di per sé invincibile violando la dolce privacy di uno statista, come pretende un liberale un po’ confuso alla Piero Ostellino per il quale dentro la privata dimora del cavaliere cessa la legge e tace il diritto penale.

 L’azione giudiziaria non ha ucciso Berlusconi, ha solo reso percepibili i cattivi odori del suo inerme cadavere politico.
I giudici con la loro azione rendono solo improbabile l’intenso lavoro per rianimare la salma del cavaliere con vane proposte di pacificazione. Troppo costoso per tutti è diventato l’accorrere attorno a un relitto ormai incontrollabile. Persino la curia ha dovuto correre ai ripari dopo la rivelazione dello sfrenato edonismo del corpo del re. I più grandi maestri di relativismo e di gretto materialismo, e cioè proprio gli alti prelati, ora provano qualche imbarazzo nel riproporre lo scambio indecente tra un pugno di euro alle scuole private e l’indifferenza verso le più disinvolte cadute etiche del potere.
Si sta così consumando la tragedia di un capo con la velleità di esercitare una potestà assoluta di comando che si tramuta d’un colpo in uno zimbello un po’ ridicolo per la sua condotta sempre ricattabile. Non può più governare il cavaliere, ma ciò non significa che non abbia ancora le risorse estreme per nuocere. Il segreto del berlusconismo era la singolare e completa coincidenza tra la condotta irregolare dei vertici del potere e dei signori del denaro e l’immaginario profondo dei bassifondi della società. Gli ideologi del berlusconismo oltre al denaro come ideologia di se stesso sono stati non a caso Fede, Mora e Signorini, la De Filippi. La politica ridotta a narrazione festosa e sensuale ha finora unito in una simbiosi totale i vizi privati del potere e i sogni del pubblico spoliticizzato attratto dalle metafore del denaro e dalle sfrenate simbologie del desiderio. Questo è il populismo di massa sprigionato dal cavaliere e dai suoi incanti.

Attorno a Berlusconi ora restano pochi soldati fedeli. Anche gli atei devoti scesi in una donchisciottesca lotta santa contro l’islam ora sono costretti ad acrobazie spericolate e vanno alla improbabile ricerca di un qualche diritto del sultano a costruire un proprio harem. La caduta del capo è oramai inarrestabile. In condizioni come le attuali, con il prestigio del paese che precipita al livello del fango, in nazioni in via di sviluppo (ma l’Italia del “secondo ventennio” è ancora un paese che ha diritto a ritenersi civile secondo i canoni minimi delle economie di mercato e dello Stato di diritto?) sono di solito i vertici militari, ossia la porzione più moderna e occidentale dell’élite, a sollecitare il capo a togliere subito il disturbo.
Come sostituire Berlusconi? E’ chiaro che c’è oggi una grave emergenza nazionale. Le classi dirigenti che sostengono il governo (ma ce ne sono ancora di classi dirigenti in un parlamento di nominati?) dovrebbero loro staccare la spina. Non lo faranno, anche se la Lega, che non è un partito di plastica ma raccoglie fette di popolo reale, non è detto che sia disponibile al sostegno fino alle prove di supplizio. L’opposizione e il sindacato devono essere pronti ad affrontare una prova che potrebbe anche assumere i colori del dramma.

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